ARPA BIRMANA
TRE FERITE CHE NON GUARISCONO
Pio De Martin
Domenica 25 luglio sull’Altopiano del Cansiglio, presso la grande foiba
detta «Bus de la Lum» per iniziativa del Presidente della federazione
bellunese dell’UNCRSI Attilio Sommavilla, della Sezione ANAI di Belluno
e di Sergio De Biasio venuto dal versante friulano, si è svolta
l’annuale commemorazione dei Martiri, uccisi dai partigiani della «Nino
Nannetti» che avevano la sede del comando a poche centinaia di metri
dalla voragine. Il grande imbuto naturale ha inghiottito centinaia di militari
italiani della RSI e tedeschi, ma anche civili, sia uomini che donne. Le
uccisioni avvennero durante il 1944 ed il 1945, ma non si arrestarono con
la cessazione della guerra a fine aprile - inizio maggio - 1945, facilitate
dalla carta bianca concessa ancora per qualche tempo alle bande dai padroni
del campo – gli invasori anglo-americani – prima che questi ultimi si decidessero
a disarmarle.
Quanto al numero degli sventurati che sono stati precipitati nella
grande forra, il comandante della Stazione dei Carabinieri di Vittorio
Veneto, Mar. Magg. Giuseppe Fallai, in una relazione del 16 luglio 1949
li valutava in «oltre 300». Più dettagliata la valutazione
degli speleologi udinesi del Centro Italiano Soccorso Grotte calatisi negli
anni Sessanta a circa 180 metri di profondità: 200 corpi di soldati
tedeschi, 100 di soldati della RSI, 200 di civili (Il Messaggero Veneto,
25 luglio 1966).
Dopo la deposizione delle corone di fiori e di quella d’alloro a testimoniare
la presenza, in spirito, di Rosa Bruno, delegata dell’Associazione Nazionale
Famiglie Caduti e Dispersi della RSI, che da qualche anno non può
essere presente di persona, presso la grande Croce accanto alla foiba,
i Caduti sono stati commemorati da don Floriano, sacerdote tradizionalista,
che fra l’altro ha messo in risalto il diverso atteggiamento del governo
franchista spagnolo, che al termine della guerra civile edificò
un grande cimitero per i caduti di entrambi gli schieramenti - il luogo
è denominato «Valle de los Caidos» - rispetto a quello
delle autorità italiane d’ogni governo che da sessant’anni disertano
questo luogo ed ignorano questi Martiri.
I Caduti sono stati quindi ricordati con appropriate parole dette da
Sergio De Biasio ai convenuti, ai quali s’erano nel frattempo aggiunte
comitive di gitanti che, appreso il motivo del raduno, hanno partecipato
in silenzio e con rispetto alla cerimonia, venendo soltanto ora a conoscenza
dei crimini commessi da coloro cui Ciampi non risparmia elogi, eccidi generalmente
occultati dai cosiddetti organi di informazione.
De Biasio ha espresso la convinzione che un lancio di bombe nella foiba,
attuato dai soliti noti nel 1955, abbia smosso i resti umani che, unitamente
al materiale detritico, sarebbero stati spazzati via dalle acque sotterranee
del Livenza e del Gorgazzo. Ci pare invece che ciò sia contraddetto
dalla citata esplorazione negli anni Sessanta, durante la quale gli speleologi
videro i cadaveri racchiusi nel ghiaccio, e dai recuperi di resti ossei
umani, d’una scarpetta da donna, di elementi tedeschi, ecc.., dodici anni
fa. Anteriormente, nello stesso pomeriggio, nel cimitero di Lamosano d’Alpago
(BL), è stato reso omaggio ai 63 italiani ed al sottufficiale germanico,
appartenenti ad un Battaglione Volontari di Polizia e, probabilmente, a
reparti della X Mas, forse del distaccamento del Battaglione Barbarico
di stanza a Vittorio Veneto, trucidati il 22 marzo 1945 a Malga Venal nella
zona montuosa a nord del piccolo abitato di Funes di Lamosano.
Catturati il 19 marzo, dopo uno scontro con la «Cacciatori delle
Alpi», a Valsalega sul bordo meridionale del Consiglio, che ebbe
la meglio sui repubblicani essendo dotata di mortai gentilmente offerti
dagli anglo-americani, il 20 vengono trasferiti da partigiani di altre
formazioni, il «Nievo», il «Manin» e da Gino De
Chiara (‘Gobbo’) del «Bixio» «dalla Crocetta ... fino
al Cansiglio, lì passano la notte. Da lì la marcia continua
senza mangiare fino a Pian del Cansiglio, da lì a Tambre, da Tambre
a Funes di Lamosano; qualcuno muore per la strada» (A. Serena, I
giorni di Caino) verosimilmente fra i feriti gravi come raccontato nel
dopoguerra da Alfonso Santarossa, fratello di Tarcisio, una delle vittime,
dopo aver ricostruito i fatti parlando con numerosi partigiani e gente
dell’Alpago. Il 21 i prigionieri vengono consegnati alla brigata ‘Fratelli
Bandiera’ comandata da Nino De Marchi (‘Rolando’) (P.P. Brescacin, R. Lacchin,
Quando vestivamo alla garibaldina).
Condannati a morte da Lucio Manzin (‘Abba’) e Decimo Granzotto (‘Rudy’),
rispettivamente comandante e commissario politico del Comando Militare
Zona Piave, «pressati dalla necessità in vista di un rastrellamento
che si stava svolgendo nella zona», così li giustifica Pier
Paolo Brescacin, storico vittoriese, vengono denudati, abbattuti a scariche
di mitra e successivamente con il ‘colpo di grazia’ alla testa, gettati
nella calce, con il perverso scopo di evitarne il riconoscimento anche
in futuro, chiaro indice della coscienza sporca degli assassini. Ben pochi
dei nomi degli uccisi infatti si conoscono: V. Brig. Francesco Nava; V.
Brig. Luigi Lorieno; M.llo Desto Mazzolini, da Tolmezzo; Guardia Romolo
Ravanelli; V. Brig. Renzo Bolduri, da Belgioioso-Pavia; Brig. Tarcisio
Santarossa, da Fiume Veneto-Udine; V. Brig. Giuseppe Agnoli.
Al massacro parteciparono, fra gli altri: a) il commissario politico
della Divisione "Nino Nannetti", Sante Mussio (‘Coledi’), del
che si lamentò lo stesso comandante della "Nannetti",
Francesco Pesce (`Milo’), in questi termini: «Si tratta della questione
dei 64 prigionieri (...) il fatto che i detti siano stati eliminati sotto
una forma conosciuta a tutti e passibile di critiche e di propaganda nemica,
ci dispiace (...) I responsabili di tutte le brigate "Vittorio Veneto"
riunitisi ieri 4 c.m. hanno dichiarato di non approvare il fatto compiuto
con le modalità eseguite. Approvano però la eliminazione
dei prigionieri, opinando però che la cosa doveva essere fatta in
modo regolare, pubblicando il fatto e mettendo al corrente l’opinione pubblica
dell’ azione di contro rappresaglia (sic) eseguita (...) L’apporto materiale
dato dal Commissario è conosciuto e ha fomentato un insieme di critiche
distruttive nei confronti del responsabile definito oggi "sadico".
Questa sua partecipazione materiale ha riacceso da parte dei soliti la
critica e l’opportunità che resti al suo posto».
La reprimenda del comandante della "Nannetti", come s’è
visto, non criticava minimamente 1’ azione criminosa che aveva contravvenuto
alle convenzioni internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra,
ne criticava soltanto qualche aspetto delle "modalità"
per la pubblicità negativa che ne era derivata agli occhi delle
popolazioni, in particolare quelle locali di Funes e Lamosano che cercarono,
impedite, di dare sollievo ai prigionieri con bevande ed alimenti; Eliseo
Dal Pont (‘Bianchi’) vantatosi di tale partecipazione in varie interviste
(Il Gazzettino, Venezia) che, meno di due mesi dopo l’eccidio di Malga
Venal, a guerra finita, partecipò altresì a Valdobbiadene
(TV), quale pubblico accusatore, al tribunale partigiano della "Mazzini"
che emetteva sentenze di morte, spesso compilate ad uccisioni già
attuate, su ordine di ufficiali anglo-americani, nel tentativo di legalizzare
le soppressioni (A. Serena, op. cit.); un noto partigiano di Ponte nelle
Alpi, da tempo stabilitosi altrove, che nel dopoguerra, nel bar della cooperativa
di Paiane, mimava le uccisioni, gloriandosene; il partigiano ‘Neve’ ed
altri di Montanes (ora S. Martino), paese vicino a Funes. Nella giornata
non sono stati ricordati, nel Cimitero vecchio di Farra d’Alpago (BL),
gli undici militari già appartenenti al Presidio di Fregona (TV),
che vi riposano. Sono i quattro ufficiali: Ten. Ettore Arceci, da Pesaro;
S.Ten. Eros Bertoldi, da Valdagno; S.Ten. Renato Stocco, da S. Apollinare,
Rovigo; S. Ten. Aldo Zanirato, da Rovigo; ed i sette uomini della squadra
del M.llo Giorgi, della 2a B.N. Mobile, incluso, forse, lo squadrista Alberto
Mancin, da Rovigo (secondo l’Albo dei Caduti e Dispersi della RSI edito
dall’Istituto Storico RSI, invece, infoibato a1 Bus de la Lum). Uno dei
sette, secondo altra fonte, non confermava, potrebbe essere Manlio Fornale,
che però data l’età, 36 anni, è la escludere abbia
fatto parte della squadra di pronto intervento del M.llo Giorgi, infatti
era in servizio in fureria.
Il Presidio, costituito da aliquote della B.N. di Vicenza, della B.N.
di Rovigo e della 2a B.N. Mobile, si era arreso ai partigiani della "Cairoli",
a Fregona, la sera del 28 aprile 1945, dopo una lunga sparatoria, fidando
nelle parole del portavoce dei ribelli, il Vicario don Raffaele Lot: «Vi
manderemo a casa se consegnerete le armi». Tutti i prigionieri vennero
invece avviati verso il Monte Pizzoc, ‘processati’ nella sede del comando
partigiano dal commissario politico Ermenegildo Pedron (‘Libero’) e dal
comandante militare Giuseppe Rosini (‘Figarol’), ed in gran parte uccisi,
salvandosene soltanto 38 su 137. La crocerossina Elsa Paiola, da Appiano
(Bolzano) venne assassinata sul Pizzoc. Quale potrà essere stata
l’accusa nei suoi confronti? Forse aveva curato troppo bene le ferite degli
uomini del Presidio?
Il gruppo più consistente finì infoibato al Bus de la
Lum.
Agli ufficiali e al gruppo del M.llo Giorgi venne riservata un’altra
tomba: con una marcia d’oltre due ore vennero condotti alla foiba di Monte
Prese, ai margini del Cansiglio, ove terminò il loro cammino ...
Gli undici Caduti sono stati salutati con le note dei "silenzio
fuori ordinanza" ed una rievocazione del loro calvario dal presidente
Sommavilla, presenti i labari del1’ANAI di Milano, dell’ANAM e dell’UNCRSI
di Belluno. Mentre non desta meraviglia la totale assenza delle "autorità"
nell’ aiutare la popolazione a prendere coscienza del sacrificio degli
italiani che caddero nel tentativo di preservare l’indipendenza dell’Europa,
sia nelle Unità della RSI che nei reparti alleati germanici, c’è
da chiedersi perché i quadri direttivi delle associazioni dei reduci
repubblicani non abbiano ancora posto un cippo ai Caduti qui ricordati,
appartenenti ai reparti che più hanno pagato. Persino alla Piccola
Caprera, se non andiamo errati, manca un memoriale ai Caduti del Battaglione
"IX Settembre’’, manca un cippo ai Caduti delle Brigate Nere, dei
Battaglioni Volontari di Polizia, della Legione SS Italiana, agli istriani,
ai friulani, ai giuliani della 24a Divisione SS "Cacciatori del Carso"...
Che si aspetta dunque?
RINASCITA quotidiano del 5 novembre 2004
(Indirizzo e telefono: vedi ASSOCIAZIONI)